NOBODY’S GIRLS
di Laura Gramuglia
Le splendide All-Female Rock Band citate nell’ultimo omonimo articolo di primavera, rappresentano soltanto la punta dell’iceberg. Ogni volta che mi capita di scrivere di queste decine, forse centinaia, di formazioni, non riesco a fare a meno di immaginare quanta musica non sia mai arrivata a noi, quante artiste non siamo mai riuscite a trovare la celebrità di turno pronta a riportarle alle nostre orecchie grazie a un tardivo riconoscimento.
Prima che arrivasse il punk a scoperchiare il vaso di Pandora e a scardinare in parte i vecchi meccanismi, il rock era territorio maschile. Nonostante il ritorno negli anni Novanta e la ristampa di buona parte del loro materiale, le Luv’d Ones restano un fenomeno di culto. Dall’altre parte dell’oceano le cose andarono per un periodo meglio alle Liverbirds; concittadine e contemporanee dei più noti Beatles, le ragazze di Liverpool si attirarono le critiche non certo esaltanti di un giovane Lennon. Quattro giovani che tentano la conquista dell’Europa esibendosi nei club di Amburgo? Su, non esageriamo!
Quando rifletto sulla celebrazione dell’immenso talento di Janis Joplin, non posso fare a meno di pensare a quanto sia stato difficile per lei imporre le proprie idee, il proprio stile di vita in un ambiente così poco ospitale nei confronti delle donne. “Altro che testa di ponte: Janis era un esercito invasore che prendeva possesso del rock’n’roll, nessuna aveva mai osato tanto.” Come ricorda Alice Nichols nella più accurata biografia di Joplin pubblicata, sarebbe meraviglioso pensare che Janis abbia modificato in maniera decisiva il mondo del rock, ma non fu così: quell’ambiente restò tenacemente sessista.
Sradicata e priva di legami, Janis era il prototipo della “ragazza di nessuno”, ruolo allo stesso tempo liberatorio e doloroso. La fama le offrì un lasciapassare per spostarsi a suo piacimento ma accentuò anche la sua solitudine, quella di una ventenne degli anni Sessanta che scalpitava all’idea di compromettere la propria indipendenza e che al contempo lottava contro un’intera società che le offriva come unica via quella di accasarsi con un buon partito. Anche Janis avrebbe voluto la persona giusta al suo fianco, ma non al prezzo di compromettere le sue scelte, la sua carriera.
Ciò che rende straordinaria la ribellione di Joplin furono la precocità e il rifiuto a conformarsi allo stereotipo della brava ragazza. Prima che il moderno femminismo ne legittimasse la volontà, le musiciste non potevano avere tutto. Lo spiega bene la giornalista Paola De Angelis: “Se per gli uomini nomadismo significa libertà, per le donne è condanna alla solitudine. Le nobody’s girls, senza radici, senza legami, sfuggono alle convenzioni, ma anche al dolore e soprattutto a se stesse. Una vita di stanze d’albergo, camerini, aeroporti, autostrade, voli intercontinentali, palchi in città di passaggio, serate che spesso si risolvono in mezzi fallimenti, per colpa di problemi tecnici, dell’alcol o della tristezza”. È questo il prezzo che molte donne hanno pagato per essersi sottratte alla vita domestica negli anni Cinquanta e Sessanta. Janis Joplin, ma anche Connie Converse, Judee Sill, Karen Dalton… c’è una lunga lista di signore che non è riuscita a sopravvivere a lungo a quel tipo di vita. Chi è riuscita a salvarsi la pelle come Sibylle Baier, Vashti Bunyan, Linda Perhacs ha visto finalmente maturare tempi, persone e andare loro incontro con riconoscenza.
Immagine di copertina: Karen Dalton
Immagine centrale: Janis Joplin
Immagine al fondo: Janis Joplin by Sara Paglia
ROCKET GIRLS #19 | NOBODY’S GIRLS
La Playlist che accompagna l’articolo è una selezione di Laura “Rocket Girls“
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