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Ballate per Galline Vecchie #15 | San Valentino a quasi quarant’anni

SAN VALENTINO A QUASI QUARANT’ANNI
di Elisa Genghini

Tra pochissimi giorni compirò quarant’anni. Fino qui me la sono cavata, a volte bene, a volte meno. Ultimo giorno di febbraio, il mese di san Valentino che cito solo perché si aggancia a qualcosa di cui ho urgenza di parlare.

Sono così felice di avere quarant’anni, ho fatto tanta strada per arrivarci, me li sono proprio meritati.  Cioè sono una donna nella media, lavoro, scrivo, canto, ho una bella famiglia, cose così. Ma soprattutto ho l’amore. Ce l’ho e non è nulla di sensazionale, a volte posso anche toccarlo, a volte mi scivola via tra le mani.

A volte sento il vento e dico “ecco l’amore”, non so se capita anche ad altre, a me capita proprio nei primi mesi freddi dell’anno, di sentire qualcosa mentre, senza pensarci, vado fuori a comprare le crocchette del gatto, o quando porto mia figlia al parco. Una leggera folata di vento, uno scricchiolio di ramo, una ciocca di capelli che mi arriva in faccia, qualcosa per cui per un istante dico: ecco è qui, è tutto mio. E ci sono stati certi segnali evidenti negli anni, di questo arrivo, che non era il momento giusto, o non lo era per me, che avevo il cuore pieno di garbugli. Come quando arriva la primavera tutto comincia a fiorire ma tu hai bisogno ancora di riposare sotto i ghiacci che hai il cuore come un ramo secco. Quando dico che ho l’amore non voglio dire che ci sia sempre o ce ne siano grandi evidenze. L’amore è come la felicità che è “senza limite, viene e va”.

Mentre scrivo sono le sei di mattina momento in cui mi concedo spesso il mio spazio prima che tutto cominci. Mi ricordo di una canzone dei CSI, Bolormaa. Una donna capace di contorcersi e arrendersi all’amore, seguirne i suoi movimenti fluidi contorti, molli e resistenti, come solo le donne riescono a fare. Viene e va l’amore, non sempre lo si può accogliere con il tappeto rosso, non sempre ci porta un mazzo di fiori o prima di invitarti al ristorante stellato, certo, può accedere, dipende. A volte ce l’abbiamo davanti a noi sul divano che guarda distratto i Barbapapà assieme ai vostri figli, a volte lo troviamo nel commesso di un negozio che ci chiede di toglierci solo per un attimo la mascherina, che non ci aveva riconosciute e noi abbiamo un nuovo bellissimo taglio di capelli.

Ma se ci sono volte che per quando si abbia fame non si trova il giusto nutrimento allora bisogna cominciare da se stess*, che l’amore è un’autoproduzione, che nessuno lo può concedere o togliere, che ce lo abbiamo noi e siamo noi, è nei nostri occhi e nelle nostre mani, nelle cose che ci piacciono, negli obiettivi che ci poniamo, le lacrime che versiamo, che solo noi sappiamo perché, nelle risate che ci facciamo e che seppelliscono il mondo, sono le canzoni che ascoltiamo mentre andiamo a lavorare o quelle mormorate tra le labbra quando nemmeno noi ce ne accorgiamo.

Non mi sarei mai sognata a vent’anni di sapere tutto questo e sono molto più giovane ora, godendo della mia capacità di deliziarmi di alcune cose dell’amore che prima non capivo, una poesia della Szymborska, un bottone della mia camicia che mi slaccio inconsciamente,  Amanda Palmer che corre nuda nel video di Backstabber dei Dresten Dolls, un paio di calze nere di nylon che metto in un giorno ordinario, solo per sentirmi meglio, Glen Hansard e Markéta Igrlovà che passeggiano per le strade di Dublino cantando Falling Slowly, il pensiero solleticante di tutt* quell* che mi hanno trovato una bella donna e non me l’hanno mai detto, il finale di Closer quando Natalie Portman lascia Jude Law per la sua smania inutile di far prevalere la verità sui sentimenti. E infine la voce sensuale e materna di Ginevra di Marco che canta di lasciare fluire il dolore, “che la felicità e senza limite, e va e viene”.