St. Vincent – Strange Mercy
di Luca Guidi
La musica di St. Vincent è forse un caso unico. Un addizionarsi di voci narrative e di idee musicali che cercano spazio lottando tra di loro, un avvicendarsi di contrasti plateali che generano un’immagine mai completa.
Sean O’Neal nel 2007 definiva così il suo lavoro: “C’è un punto dove troppa felicità diventa follia”.
Strange Mercy, terzo disco dell’artista americana, sembra collocarsi proprio lì.
Mentre lo ascoltate vi capiterà di essere “aggrediti” da una chitarra che non sembra una chitarra, che suona qualcosa che pare in disaccordo con tutto il resto, ma poi, quando lo stesso elemento verrà riproposto dalla voce, troverà un senso nuovo e comprensibile.
Ordine e disordine. Salta il confine, lo stesso che non riesce più a tenere separate l’educazione di una voce piena e affermativa (così lontana dalle voci eteree e malinconiche delle sue contemporanee) dalle tematiche scure, enigmatiche e a tratti crudeli dei suoi testi.
Il disco si apre con Chloe in the afternoon e lascia subito spiazzati. Un synth che guida il percorso, una chitarra fuzzosa che sembra volerci portare da tutt’altra parte, una vocalità frammentata quasi Bjorkiana. Pezzi di un puzzle che compongono un immagine man mano più chiara. Un’immagine cinematografica, dal momento che il titolo della canzone è lo stesso di un film di Eric Rohmer.
St Vincent sembra così riprendere il discorso da dove lo aveva lasciato con Actor nel 2009, disco interamente dedicato alla sua passione per il cinema.
Cruel è un brano dall’apparenza marcatamente pop, poche frasi di grande effetto alternate ad un riff di chitarra accattivante.
Anche qui i piani narrativi però sono molteplici, le melodie della strofa sembrano provenire da altrove, il confronto tra universi distanti domina tutta la canzone e lo troviamo espresso anche nel testo, racconto di una femmilità ribelle, attraverso l’immagine del suo contrario “Bodies, can’t you see what everybody wants from you? If you could want that, too, then you’ll be happy”.
Surgeon è forse il momento di maggiore euforia all’interno del lavoro.
Dopo un inizio lirico e sospeso, caratterizzato da una vocalità malinconica, la chitarra elettrica si affaccia quasi fosse un alter ego della cantante, un diavoletto sulla spalla dai tratti funky e sperimentali. La canzone cresce gradualmente fino a sfociare in una sorta di jam strumentale che ricorda quasi il prog degli anni 70.
Strange Mercy è in definitiva un disco colorato e un po’ folle, popolare nella sua capacità di cogliere le tendenze di un’epoca, sperimentale nella sua capacità di fuggire ogni volta che ti sembra di averlo catturato.
GUIDI ALL’ASCOLTO #2 | St. Vincent – Strange Mercy
Crediti:
L’immagine di copertina è una illustrazione di Federico Russo