La nostra battaglia è di TUTTI è uno speakers’ corner dove raccogliere testimonianze di donne e uomini sul tema importante e urgente della disparità di genere all’interno dell’industria musicale
SARA JANE GHIOTTI
Maestro e Maestra: parto dalla differenza semantica di questi due termini per raccontarvi qualcosa sulla mia carriera musicale e la mia esperienza da musicista.
Perché, quando la declinazione morfologica di un sostantivo origina significati diversi, diventa imprescindibile il condizionamento imposto sulle scelte professionali di una donna del 2021.
“Maestro” lo sono diventata dopo la mia laurea magistrale (!) in Direzione e Arrangiamento per Orchestra Jazz, ma andiamo in ordine.
Nata canterina, ho convogliato la mia inclinazione musicale giovanile nello studio del violino.
L’adolescenza e i suoi anni ribelli mi portarono, aggiungo inevitabilmente, a conoscere ed amare il rock. Da sé arriva l’occasione per entrare in una band (tutti ragazzi) e fare le mie prime esperienze da cantante.
Aldilà del viaggio che mi portò ad attraversare vari generi musicali, dalla classica al jazz passando per il rock, il canto è stato e rimarrà, sempre ed indiscussamente, il mio strumento.
In esso mi riconosco e conosco il mondo. E’ il mio metro di percezione, di studio e, oggi, il mio strumento per scrivere e arrangiare per orchestra: quello che intuisce, coglie, descrive, definisce, rifila ogni nota poi (solo) verificata sui tasti del pianoforte.
Tuttavia, con l’età adulta è subentrata la consapevolezza che quello “strumento” così amato mi appiccicasse addosso una definizione che non mi appartiene, cosi come è intesa dai più: la cantante.
La cantante, per tanti, è quel personaggio del sottobosco musicale che si da per scontato non conosca la musica e le sue regole ritmiche, talvolta melodiche, figuriamoci armoniche, dal momento che non si accorge neppure dei musicisti che la stanno accompagnando.
Questa, poi, è la lettura più politicamente corretta. C’è anche la versione per adulti (?): la cantante è quella componente donna del gruppo che ha usanze sessualmente libertarie; quella che, come dice la barzelletta, la prima cosa che fa al mattino è rivestirsi e tornare a casa sua.
Alla domanda: che lavoro fai, la mia risposta era la cantante. E sono diventata avvezza allo sguardo del collega, diventato subito, alle mie parole, disinteressato: evidentemente, il suo dizionario di decodifica mentale si è aperto sulla definizione stereotipata che vi ho appena dato.
La mia risposta oggi alla stessa domanda è “cantante, arrangiatrice e direttrice di orchestra jazz”.
Il percorso di studi che ho fatto è stato l’affinamento di una capacità in me già spiccata e, in seguito, l’accreditamento da parte della società di un ruolo che, finalmente, mi rappresentava.
Tuttavia, mi dispiaccio sempre di dover corredare di tante altre, la definizione di me stessa, che di per sé sarebbe già completa con una parola sola: MUSICISTA. Purtroppo, cantante non rientra nel medesimo campo semantico.
A me è servito un titolo di studio per redimere il significato di me stessa e della mia complessa professionalità. Questa mi ha messo, talvolta e con grande mio onore, a direzione di orchestre in predominanza, se non completamente, composta da musicisti uomini.
Ma, ora il dubbio è: sarò finalmente vista come sapiente maestro o come saccente maestrina?
Crediti:
La foto in copertina è di Daniele Zappi