DIFFICULT WOMEN
di Laura Gramuglia
Nell’estate del 1920, una piccola etichetta di New York chiamata Okeh Records pubblicò il brano Crazy Blues di Perry Bradford in un’inedita versione della cantante, pianista e attrice statunitense Mamie Smith. Il pezzo catalizzò da subito l’attenzione dei consumatori afroamericani della classe operaia, scatenando una serie di reazioni da parte dell’industria discografica che avrebbe cambiato per sempre la cultura popolare. Come ha rilevato Angela Davis nel suo libro, Blues Legacies and Black Feminism, il successo di Mamie Smith costrinse le case discografiche a considerare finalmente i gusti di una grossa fetta di fruitori di musica fino a quel momento ignorata, ma soprattutto a produrre dischi di musiciste nere.
E così ecco improvvisamente arrivare sul mercato le opere di Ma Rainey, Memphis Minnie, Ethel Waters, Gladys Bentley, Bessie Smith. In un’epoca in cui la musica pop orchestrale delle donne bianche si fondava su temi come matrimonio e domesticità eteronormativa, queste prime registrazioni blues furono i primi esempi di donne che cantavano di indipendenza, sessualità fluida, violenza domestica e lotta della classe operaia. Non solo i messaggi erano rivoluzionari, ma anche la popolarità basata sulle loro apparizioni dal vivo era inesplorata. Prima che i dischi diventassero un modo fruibile per ascoltare musica, la popolarità delle artiste era legata indissolubilmente alle loro incendiarie esibizioni sui palchi del vaudeville.
E così, oltre cento anni fa, una potente tradizione di artiste afroamericane aiutò le donne ad alzare la voce e a farsi sentire. La vita e l’arte di queste cantanti e musiciste esplorarono un nuovo modo di stare al mondo, sfidando i limiti imposti dalla morale e non solo. Sempre Angela Davis in Donne, razza, classe ci ricorda che “le donne di colore hanno dovuto sviluppare una visione più ampia della società di qualunque altro gruppo sociale: devono infatti avere a che fare e comprendere gli uomini bianchi, donne bianche e uomini di colore. E devono venire a patti con se stesse.”
Come ci racconta Elisa De Munari nel suo necessario Countin’ The Blues (Arcana Edizioni) “le donne del blues usarono la musica come un mezzo per raccontare la verità, per testare i propri sentimenti, per trovare la propria voce. Furono forti, sexy, aggressive, spirituali. Non si vergognarono mai dei loro desideri e bisogni. E combatterono per essi.”
Mezzo secolo prima della rivoluzione sessuale, a un secolo dal #MeToo, le ragazze del blues si fecero coraggio e denunciarono in musica gli abusi, le scorrettezze, riempirono versi delle loro giornate fatte di vita domestica, maternità, corpi e sessualità. “Certo, furono espressione di un’epoca, quella degli anni Venti, di liberazione culturale e di fermento creativo sbocciati in un universo in cui finalmente l’arte nera poteva esprimersi e avere un pubblico. Un’età esplosiva che le artiste descrissero assumendosi le responsabilità di un’intera comunità”.
Furono femmine difficili? Senz’altro. Bontà e ubbidienza non le avevano portate lontano. Se nel corso dei secoli le donne hanno acquisito diritti e consapevolezza, il merito è di alcune personalità – complicate, contraddittorie, imperfette – che hanno lottato con se stesse, mentre lottavano per un mondo più giusto. Pioniere dell’emancipazione e delle battaglie di genere, figure fondamentali della nostra modernità che sono state spesso edulcorate, o addirittura dimenticate. Come scrive Helen Lewis nel suo bellissimo Difficult Women, “le donne educate non fanno la storia. Le donne difficili sì”.
ROCKET GIRLS #13 | DIFFICULT WOMEN
La Playlist che accompagna l’articolo è una selezione di Laura “Rocket Girls“
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