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Rocket Girls #16 | DEUS È MULHER

DEUS È MULHER
di Laura Gramuglia 

Nelle ultime settimane ci hanno lasciato diverse artiste. Scrittrici, attiviste, attrici, musiciste che hanno saputo lasciare un’impronta del proprio passaggio e che possiamo onorare traendo ispirazione dal loro lascito. Le pagine vergate da Joan Didion, Eve Babitz, bell hooks ci chiamano con una voce così chiara e distinta che è impossibile non riconoscere. La lingua pungente di Betty White è qualcosa di talmente famigliare da avere la sensazione di ricordare decine di conversazioni avute con lei. Anche Ronnie Spector ed Elza Soares hanno da poco abbandonato la scena e se da un lato è gratificante leggere dello straordinario contributo di queste due donne alla storia della musica popolare, dall’altro è deprimente scoprire quanto i loro nomi, fino all’ultimo, siano stati avviluppati a quello dei rispettivi consorti.

Ronnie Spector, all’anagrafe Veronica Yvette Bennett, era conosciuta come la cattiva ragazza del rock and roll. È stata l’anello di congiunzione tra i gruppi vocali femminili degli anni Sessanta e il punk dei Settanta: quello della ballate sdolcinate, delle lacrime nere di mascara a rigare il viso e dell’atteggiamento da eterno reietto in cui era facile crogiolarsi. E di corsa fino agli Ottanta degli Smiths, tra un giro di perle e un giro di pista prima dell’inevitabile rentrée che non darà l’esito sperato. Come ha scritto Daniele Cassandro tra le pagine di Internazionale, “l’incontro, alla fine degli anni Novanta, tra Joey Ramone, Daniel Rey (produttore dei Ramones) e Ronnie Spector è la versione ‘perdente’ dell’incontro tra Tina Turner e David Bowie. Ma al posto di Private dancer (il patinato album del rilancio di Tina e uno dei dischi più venduti degli anni Ottanta), Ronnie si è trovata con un pugno di vecchie canzoni e un ep indie di scarsissimo successo.”

Eppure quelle vecchie canzoni, miste a uno stile iconico, hanno continuato ad accendere la fantasia di ragazze e ragazzi: Amy Winehouse sarà apertamente influenzata da Ronnie che invece faticherà a godere dei frutti del suo lavoro. L’ingombrante e subdolo marito, ritenendola una sua creazione, non le permetterà di cantare le celebri hit così come di entrare in possesso dei proventi dovuti a queste. Il matrimonio con Phil Spector durerà qualche anno, ma le ripercussioni per Ronnie saranno devastanti; ecco perché vedere il suo nome seguire ancora oggi quello dell’inventore del Wall of Sound, per quanto inevitabile, fa male.

Se Dio non fosse femmina, il mondo sarebbe già finito da un pezzo.” Le parole schiette e dense di Elza Soares non lasciano spazio a fraintendimenti. Nel 2018, la matriarca della musica brasiliana pubblica il suo disco più politico e lo intitola Deus è Mulher. Dopo una vita a dir poco burrascosa, ha ancora voglia di mettere insieme canti di speranza e di libertà. Libertà inseguita fin dalla più giovane età, quando fu costretta a sposarsi appena dodicenne e a tredici ebbe il primo figlio. “I padri non hanno tanta pazienza, gli uomini si stancano facilmente. Le donne invece non sono mai stanche di cullare, di prendersi cura, di dare carezze: le donne non si stancano mai di generare la vita. Ecco perché, secondo me, per prendersi cura di un mondo tanto disastrato, Dio deve essere per forza una donna.” Di ombre Elza ne incontrerà per tutta la vita lungo la strada, tra le più minacciose quella di Mané Garrincha, marito alcolizzato e violento, stella cadente del calcio brasiliano precipitata nell’abisso della dipendenza.

Sessant’anni di carriera, oltre cinquanta album registrati, Elza ha sempre trovato nella musica la redenzione. Quando se ne è allontanata lo ha fatto solo perché non riusciva a imporre la propria libertà alle case discografiche: “Non serve a niente gridare chi si è: io l’ho fatto lavorando con la mia musica. Significa che ho vissuto.

L’immagine è Elza Soares by Zé Otavio

ROCKET GIRLS #15 | EVERYTHING BURNS

La Playlist che accompagna l’articolo è una selezione di Laura “Rocket Girls

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