First All-Female Rock Band
di Laura Gramuglia
Quando mi ostino a ripetere che le donne nella musica rock sono sempre esistite, non mi riferisco a uno sparuto gruppo di artiste che ha cercato invano di lottare contro mulini a vento. Mi riferisco a un esercito formato e ben equipaggiato che ha vinto diverse battaglie prima di arrendersi a un’industria e a un mercato che non credevano sufficientemente in loro. È chiaro, la lotta era impari, anche nella patria del blues e del rock’n’roll, una paritaria rappresentanza di genere era fuori discussione; eppure, dagli anni Sessanta in poi, è davvero sorprendente il numero di ragazze che imbracciò strumenti cercando una traiettoria differente a quella tracciata dai colleghi. Altrettanto sorprendente è la definizione di chi oggi riscopre questa vastissima produzione e cerca di risalire all’origine: il risultato è un elenco infinito di formazioni definite “first all-female rock band”.
In effetti, tracciare una storiografia di questi gruppi non è facile. Regolarmente non faccio che incontrare storie meravigliose di musiciste ostinate, smarrite nelle pieghe del tempo. Ma come è stato possibile, mi chiedo? A quanto pare, smaltita la sbornia iniziale, la novità di avere a che fare con un gruppo di sole donne, rappresentava più che altro un problema. I club e i media del tempo erano interessati più al loro aspetto che alla loro musica. L’industria si prodigava al massimo per un debutto, ma poi il percorso di ogni ragazza sembrava tracciato: prima dei trent’anni ognuna avrebbe lasciato la carriera per un marito, una casa, dei figli e la bolla si sarebbe sgonfiata in fretta.
E invece a volte è durata, eccome se è durata, perché queste donne sono tutte pagine di una storia straordinaria che continua a suonare e risuonare. Certo, non tutte agguantarono il successo e molto materiale è andato perso; ma quando riemerge, è puro godimento. È un piacere ascoltare oggi i dischi di Ace of Cups e Fanny, tra le poche band a poter contare su una sorta di tardiva ricompensa: salute e ostinazione permettono loro saltuarie reunion, indicate sempre come eventi da non perdere. E pensare che proprio le Ace of Cups sono state, per anni, uno dei segreti meglio conservati del rock. Aprirono per Jimi Hendrix, The Band, affiancarono in speciali televisivi Jefferson Airplane e Grateful Dead, ma soltanto nel 2018 ebbero la possibilità di pubblicare la propria musica.
Andò meglio a Goldie and the Gingerbreads, probabilmente la prima rock band di ragazze – ci risiamo! – a finire sotto contratto per una major. Attive tra il 1962 e il 1967, dopo la firma per l’Atlantic Records di Ahmet Ertegun, trovarono successo in Europa accompagnando in tour Animals, Beatles, Rolling Stones, Kinks fino a piazzare la loro hit Can’t You Hear My Heartbeat nella UK Singles Chart.
Arrivate alla maggiore età, anche le Pleasure Seekers di Detroit, riuscirono nel 1968 ad agguantare un contratto per la Mercury Records. Ma, di nuovo, riuscire a girare gli Stati Uniti in cerca di successo commerciale risultò, per un gruppo di ragazze, un’impresa ancora più ostica di quella riservata ai maschi. Alle Pleasure riuscì però a sopravvivere Suzi Quatro: con oltre cinquantacinque milioni di dischi venduti, resta una tra le rocker più longeve ancora in circolazione tra dischi, tour e una solida carriera tra tv e radio lanciata grazie ai panni di Leather Tuscadero nell’iconica serie Happy Days.
Tutto qui? Certo che no, molte altre storie premono per essere raccontate. Quella di The Shaggs per esempio, trio che già alla fine degli anni Sessanta inaugurò il filone lo fi. Un solo album all’attivo per le sorelle Wiggin, quel Philosophy of the World diventato un cult grazie agli apprezzamenti di Frank Zappa e Kurt Cobain. (…continua)
Foto di copertina: Ace_of_Cups_by_Jamie_Soja
Foto all’interno: Funny_by_Marita_Madeloni
ROCKET GIRLS #17 | They Say I’m Different
La Playlist che accompagna l’articolo è una selezione di Laura “Rocket Girls“
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